Panigacci, Testaroli e Testaieu

Dalla Lunigiana alla Val Graveglia i piatti tipici della tradizione

by chiara@rescomunicazione.it
Panigacci o Testaroli?

In questa zona dello stivale, si intuisce subito quanto i confini regionali siano labili e quelli del gusto e delle tradizioni così forti. La verità è che panigacci e testaroli sono cugini, discendenti della cucina povera della stessa terra: La Lunigiana.

Di sua maestà il Testarolo, possiamo dirvi che ve ne sono due diversi discendenti.

Il testarolo di Pontremoli, il più famoso e conosciuto dai più, si presenta come un grosso disco di pasta, cotto in grandi testi di ghisa, facile da tagliare a quadretti. Viene velocemente sbollentato in acqua salata e condito con pesto o olio e formaggio.

Nella bassa Val di Magra invece, se dite Testaroli, subito fuori i piccoli testi di ghisa! Nel comune di Sarzana e nel vicino comune di Castelnuovo Magra la pastella di acqua farina e sale viene cotta su un testo di ghisa, precedentemente unto con una mezza patata bagnata nell’olio, girato su due lati. Così morbido, che basta una forchetta per arrotolarlo su se stesso e addentare il cuore ripieno di pesto o olio e formaggio.

Ora attenzione a non confondere sua maestà Testarolo con il principe Panigaccio!

Podenzana è la sua reggia, qui potrete gustare il vero Panigaccio, quello di cui la densa pastella di acqua farina e sale viene versata da abili mani in piccoli testi di terracotta incandescenti. Dopo averli riempiti si impilano uno sopra l’altro e grazie al calore dei testi incandescenti o della vicinanza del fuoco si cuociono alla perfezione.

Appena tolto dai testi, il Panigaccio finisce in tavola assieme a salumi e formaggi. Ancora oggi, spesso, lo spirito di recupero della cucina povera, fa sì che i panigacci che avanzano dalla cena, il giorno dopo vengano buttati in acqua bollente e cotti come se fossero pasta. Scolati e conditi a piacimento con pesto, olio e formaggio o ragù: ecco a voi il Panigaccio bollito!

Nell’alta Val Graveglia inoltre si preparavano i «Fugasin di Megà» fatti con farina di mais e cotti su un letto di foglie. Un cibo poverissimo che veniva consumato dalla popolazione locale come colazione prima di andare al pascolo o negli orti.

Sempre in Val Graveglia, nel comune di Ne, si fanno i testaieu, praticamente con lo stesso procedimento dei panigacci, con la differenza che i testetti sono un po’ più profondi al centro col risultato che il testaieu resta convesso, più morbido e un po’ più crudo al centro. Anche l’uso è diverso, ricordando in questo più il testarolo sarzanese, viene servito condito con pesto, olio e formaggio e olio e aglio.

La tradizione ci racconta che veniva recuperato anche il calore dei «testetti» che una volta usati per la preparazione delle vivande, venivano fasciati in un panno e sistemati sotto le coperte per regalare un po’ di tepore durante le rigide notti invernali.

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